Avv. Talamazzi, esiste un principio del genere nel nostro ordinamento giuridico?
Si, esiste il c.d. “diritto di ritenzione”, concesso, al ricorrere di determinate condizioni, al creditore che non abbia ottenuto un pagamento dovuto e che sia in possesso di un bene del debitore. In certi casi, il creditore può rifiutarsi di restituire il bene al suo legittimo proprietario nel tentativo di indurre quest’ultimo a corrispondere quanto dovuto. Si chiama appunto diritto di ritenzione
Ottimo! Nessun “però”?
Però, ovviamente, essendo tale principio una deroga al principio generale secondo cui nel nostro ordinamento nessuno può provvedere ad auto tutelarsi di fronte alla violazione di un proprio diritto, è necessario che, per evitare di incorrere in un illecito, tale diritto di ritenzione sia attuato nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Ci può parlare di queste ipotesi tassative del diritto di ritenzione?
Cercando di non diventare troppo tecnica, partirei dalla norma da prendere come riferimento parlando di diritto di ritenzione, ossia dell’articolo 2756 del codice civile. Tale articolo prevede, al primo comma, che “I crediti per le prestazioni e le spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili hanno privilegio sui beni stessi, purché questi si trovino ancora presso chi ha fatto le prestazioni o le spese” e, al terzo comma, che “Il creditore può ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno.”
Può farci qualche esempio pratico sul diritto di ritenzione?
La norma in esame si può riferire a tutte le attività che si occupano di conservare e migliorare un bene mobile e, quindi, può avere molteplici applicazioni pratiche. A titolo esemplificativo, astrattamente, in base a tale disposizione, un carrozziere potrebbe rifiutarsi di restituire un veicolo al suo proprietario allorquando quest’ultimo non abbia ancora provveduto a pagare i costi per le riparazioni richieste.
C’è nell’aria un altro “però”…
Il però – e molto importante – è che non è sufficiente un qualunque credito per poter attuare il diritto di ritenzione. È necessario che tale credito, infatti, sia certo, liquido ed esigibile (ossia determinato e dimostrato nel suo importo e con la data prevista per il pagamento già trascorsa). Oltre a tali imprescindibili requisiti (che si consiglia di non dare per scontati), è necessario anche che il creditore che decida di trattenere il bene altrui si astenga di utilizzarlo come se fosse suo, ma si limiti a custodirlo presso di sé.
E se si esercita il diritto di ritenzione senza questi presupposti?
Il soggetto che trattiene un bene altrui nell’assenza dei requisiti richiesti dalla legge si espone a conseguenti rilevanti, sia sul piano civilistico, sia su quello penalistico. Sotto tale ultimo aspetto, in particolare, il creditore potrebbe essere denunciato per il reato di cui all’articolo 646 c.p. secondo cui “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000”.
Quindi, avvocato?
In conclusione, come sempre, è necessario verificare il singolo caso concreto per valutare se, alla luce della posizione del creditore e della documentazione in possesso dello stesso, possano ritenersi soddisfatti i presupposti richiesti dalla legge oppure se sia meglio riconsegnare il bene e, poi, tutelare i propri diritti secondo le vie di giustizia.
a cura di Avv. Giulia Talamazzi
Condividi l'articolo
Scegli su quale Social Network vuoi condividere