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Bilancio di Sostenibilità: di cosa si tratta?

Avvocato, si sente parlare sempre di più di Bilancio di Sostenibilità. Ci può spiegare di cosa si tratta e quali società sono soggette a tale previsione?

«Certo. Visto che oggi si parla di sostenibilità, prima ho pensato di raccontarvi un po’ come il concetto di “sostenibilità” è entrato nel mondo del diritto. Per partire, diciamo che il primo documento ufficiale dove troviamo questo concetto è una dichiarazione che si è formata nel 1972 in occasione di una Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente ove è stato evidenziato che, per migliorare in modo duraturo le condizioni di vita dell’umanità, occorre salvaguardare le risorse naturali a beneficio di tutti e, per farlo, è necessaria una collaborazione internazionale. Nel 1987, sempre nell’ambito dell’attività dell’ONU, viene presentato un rapporto con cui si inizia a parlare di “sviluppo sostenibile”, definendolo come “quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Come noto, poi, più di recente (nel 2015) le Nazioni Unite hanno pubblicato un’Agenda 2030 contenente 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile da raggiungere, appunto, entro il 2030: si parla di concetti quali povertà, fame, salute, acqua, educazione, uguaglianza, energia sostenibile, infrastrutture, cambiamento climatico, oceani, ecosistema terrestre e pace».

E in Italia, avvocato? Com’è il quadro normativo relativo all’ambiente?

«Volgendo lo sguardo al nostro Paese, abbiamo la recentissima introduzione della tutela dell’ambiente e degli animali nella Costituzione italiana. L’8/2/22, infatti, è stato definitivamente approvato il disegno di legge che proponeva, da un lato, di inserire tra i principi fondamentali della Carta costituzionale (art. 9) “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” e, dall’altro, di specificare che l’attività economica privata non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente. La ratio della riforma, in buona sostanza, consiste nel considerare l’ambiente non come una cosa, ma come un valore primario costituzionalmente protetto e ciò, in maniera del tutto innovativa, anche prendendo in considerazione l’interesse delle future generazioni».

Questo è il punto di partenza che ha condotto al Bilancio di Sostenibilità?

«Esatto, dall’ingresso del concetto di sostenibilità nel mondo del diritto è derivato un ampliamento dei destinatari a cui le relative norme si rivolgono: si è passati da norme dirette esclusivamente agli Stati a norme che, se pur in maniera graduale, prevedono il coinvolgimento anche delle imprese e dei singoli, in modo da coordinare le azioni delle istituzioni pubbliche e di quelle private. A tale proposito, con la Direttiva 2014/95 l’UE ha introdotto un fattore di rinnovamento significativo nella comunicazione aziendale, imponendo la diffusione delle informazioni di carattere non finanziario da parte di alcune imprese e Gruppi di grandi dimensioni. A livello italiano, tale Direttiva è stata recepita con il D. Lgs. n. 254/16 che ha introdotto, da un lato, l’obbligo di presentare una dichiarazione individuale di carattere non finanziario per le imprese di interesse pubblico che abbiano determinate caratteristiche e, dall’altro, la possibilità di presentare la medesima dichiarazione in forma volontaria e semplificata anche per tutte le altre imprese non sottoposte all’obbligo anzidetto».

E cosa prevede questo Decreto legislativo?

«Nello specifico, detto Decreto prevede che la dichiarazione non finanziaria debba contenere informazioni concernenti, ad esempio, l’utilizzo di risorse energetiche e idriche, le emissioni di gas, l’impatto sull’ambiente e sulla salute e sulla sicurezza, gli aspetti sociali e quelli attinenti la gestione del personale, il rispetto dei diritti umani, la lotta contro la corruzione attiva e passiva. La dichiarazione deve, quanto meno, prevedere la descrizione del modello aziendale, delle politiche applicate e dei rischi, generati o subiti, in relazione agli aspetti essenziali della sostenibilità e tali informazioni devono essere fornite sotto forma di raffronto in relazione a quelle date negli esercizi precedenti».

E a chi è rivolta, nello specifico?

«Si è detto che destinatari di tale normativa sono gli enti di interesse pubblico (EIC) quali le società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell’UE, le banche, le imprese di assicurazione, le imprese di riassicurazione che rispecchino determinati requisiti. Va però evidenziato che le PMI operanti, anche solo in parte, all’interno della catena di fornitura di un’impresa che ricade in tale obbligo saranno comunque, anche se indirettamente, oggetto di informativa, stante l’obbligo della grande impresa di descrivere le politiche applicate, i risultati e i rischi anche per quanto riguarda la catena di fornitura e subappalto. Come anticipato, oltre al regime obbligatorio per gli enti di interesse pubblico il Decreto prevede la possibilità, per i soggetti che non rientrano in tale categoria, di predisporre e pubblicare dichiarazioni non finanziarie su base volontaria. Tali soggetti, in particolare, se redigono e pubblicano la dichiarazione non finanziaria attenendosi a quanto disposto dalla relativa normativa possono apporre su dette dichiarazioni la dicitura di conformità alla stessa. Le dichiarazioni volontarie di carattere non finanziario devono applicare la normativa secondo criteri di proporzionalità, tenendo conto delle dimensioni in termini di numero di dipendenti, di valori di bilancio e di svolgimento o meno di attività transfrontaliera».

Quali responsabilità sono previste a carico dei destinatari di tale obbligo?

«La responsabilità di garantire che la dichiarazione di carattere non finanziario sia redatta e pubblicata in conformità a quanto previsto dal Decreto compete agli amministratori dell’ente di interesse pubblico che dovranno agire secondo criteri di professionalità e diligenza. Il regime sanzionatorio applicabile in caso di inadempimento agli obblighi sanciti dalla normativa, salvo che la condotta non costituisca reato, prevede sanzioni amministrative pecuniarie e l’autorità competente all’accertamento e all’applicazione delle sanzioni è individuata nella Consob».

Concludendo, quindi, avvocato?

«Alla luce di quanto detto, è evidente l’importanza sempre maggiore del concetto di sostenibilità anche nel tessuto giuridico e imprenditoriale. Volendo ragionarla, oltre che in ottica etica anche in ottica imprenditoriale, si può comprendere quindi che, per eventuali investitori, una società che sia rispettosa della relativa normativa possa essere vista come un investimento più sicuro».

a cura di Avv. Giulia Talamazzi - Studio Legale Conte&Giacomini